Le guerre oggi in atto tra Ucraina e Russia e tra il popolo israeliano ed il popolo palestinese, unitamente ai numerosi conflitti presenti su scala “minore” (almeno dal punto di vista mediatico) in varie regioni del mondo, vanno a configurare quella che Papa Francesco chiama “guerra mondiale a pezzi” e ci obbligano a riflettere non solo sulle cause e significato di queste guerre, ma anche e soprattutto sulla pace.
Colpisce molto a nostro avviso, nel panorama politico e culturale di questi giorni segnato da questi eventi molto importanti per il singolo individuo e la società, la scarsità di figure che sappiano proclamare con la giusta forza il messaggio di pace.
Appare altrettanto significativo come una delle poche voci di pace levatesi in queste settimane, quella di Papa Francesco, sia stata accolta a più livelli con tepore, se non addirittura con ostracismo perché percepita come frutto di eccessivo idealismo, se non di disfattismo.
In questo contesto viene da chiedersi quali possano essere i motivi di questo silenzio da parte della maggior quota della società civile e politica e quale possa invece essere il ruolo dei singoli, delle famiglie e delle associazioni nel promuovere iniziative di pace.
LE CAUSE DEL SILENZIO PACIFISTA
Il “silenzio” pacifista si può a nostro avviso considerare come frutto di alcune delle molteplici conseguenze della progressiva frammentazione sociale da cui è percorso da anni il mondo occidentale: l’incapacità di pensare e vivere ideali “grandi”, l’indifferenza e la paura.
Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant’Egidio, nel corso di un’intervista radiofonica, sottolineava come quando le persone siano incapaci di vivere relazioni profonde e significative, o che, quandanche composte in un nucleo famigliare questo non si senta inserito in un tessuto sociale più ampio, accogliente e supportivo, risulta altrettanto impossibile condividere aspirazioni “alte” come la pace e la giustizia. La pace è infatti un “sogno” che va nutrito di dialogo e condivisione per poterla comprendere e diventare realtà, altrimenti rischia di soffocare o rimanere un’idea: chi ascolterà l’invocazione alla pace del singolo quando a tuonare sono i cannoni?
Si capisce allora come nell’attuale panorama caratterizzato da un sostanziale riduzione della portata dei rapporti sociali difficilmente possano trovare terreno fertile aspirazioni fondamentali per l’umanità, ma di complessa realizzazione come la pace.
Ecco allora affacciarsi lo scoramento e la tentazione di chiudersi ancor di più nel proprio piccolo orizzonte, in una sterile “comfort zone” fatta di esistenze di piccolo cabotaggio.
La pace infatti ha come presupposto radicale il dialogo, che nasce a sua volta dal riconoscimento delle differenze ed è accompagnato alla vocazione al loro superamento: tutti obiettivi il cui raggiungimento richiede fatica e volontà di mettere in gioco la propria esistenza.
Viene allora da chiedersi quale possa essere luogo migliore della famiglia per esercitare le virtù del dialogo, della comprensione e divenire palestra di dinamiche che aiutino a superare i piccoli egoismi per poter raggiungere obiettivi più grandi e condivisi?
Anche l’indifferenza, da tempo presente nella nostra società, appare contagiare sempre più persone e renderci sempre più insensibili a temi che pur restano di vitale importanza per ogni individuo e per ogni società: giustizia, libertà e, appunto, pace. Questi temi, se non adeguatamente sottoposti ad un continuo e sincero processo di elaborazione personale e condivisa che ne consenta l’innesto nel mutevole vissuto quotidiano, rischiano di apparire quantomeno come idee lontane che non riescono ad aiutarci nella nostra ricerca di senso oppure, nel peggiore dei casi, divenire occasione di ulteriore conflitto e frammentazione nella persona e tra le persone in quanto assurte al ruolo di rigidi vessilli identitari.
IL RUOLO DELLA FAMIGLIA
Senza dilungarci in seppur necessarie disamine sulle cause di questa apatia, ci pare utile suggerire come anche in questo scenario l’ambito familiare possa costituire un luogo preferenziale di riscoperta e mantenimento della cura quotidiana del senso delle persone, delle relazioni e delle cose quali efficaci antidoti contro l’indifferenza.
Troppo spesso diamo per scontati infatti la presenza e l’affetto delle persone che ci circondano, il valore inestimabile delle relazioni che riusciamo a costruire e la fortuna di vivere in un contesto storico e geografico in cui, dal punto di vista materiale, il pericolo del “troppo” appare molto più concreto del pericolo del “troppo poco”.
Vogliamo quindi nuovamente sottolineare come in pochi contesti come in quello famigliare possa trovare terreno fertile lo sforzo di valorizzare le persone, di dare importanza alle parole ma anche agli sguardi ed ai piccoli gesti, mai banali, di affetto quotidiano. Mai banali perché, seppure all’apparenza semplici, sono simboli che originano da un vissuto profondo e compiuto della relazione.
Quando poi nella famiglia siano presenti dei figli, questo conferimento quotidiano di senso anche alle piccole cose trova ancora più energia, proveniente dalla freschezza e dallo slancio dei giovani, dalla loro curiosità, dalla loro capacità di guardare con occhi sempre nuovi a giorni e cose apparentemente sempre uguali. Tutto ciò rappresenta uno stimolo importante per genitori capaci di ascoltare, riflettere ed eventualmente rivedere posizioni troppo presto o ingiustamente date per scontate, ma anche di offrire ai propri figli attraverso il dialogo ed il vissuto quotidiani non solo la declamazione ideali “alti”, ma anche esempi concreti di comportamenti positivi, distillati attraverso l’esperienza maturata nel corso della vita personale, di coppia e sociale.
In un secondo momento la famiglia potrà poi trovare la sua naturale evoluzione, con i tempi e le modalità che più sente a lei consone, nell’apertura alle realtà sociali che la circondano: l’ambito lavorativo, scolastico, il vicino di casa, il quartiere, l’oratorio e tutte le altre forme di associazionismo. In questo modo la famiglia può riuscire a vivere con un respiro più ampio il Bene maturato al suo interno ed a sua volta ricevere dall’esterno significativi ed a volte inaspettati stimoli di crescita.
Risulta infine facile immaginare come in questo contesto di isolamento sociale la paura costituisca una presenza costante nella vita della persona e della famiglia: paura dell’Altro che viene considerato una potenziale e costante minaccia per me, per miei cari, per le mie abitudini, per le mie cose, per quanto ho guadagnato o per la posizione che ho raggiunto con la fatica di una vita. E quando a dominare l’uomo è la paura, non c’è spazio per la pace.
Per tornare quindi alla domanda iniziale: che cosa può fare la famiglia nel 2024 per promuovere la pace? A nostro parere la famiglia può ed in una certa misura deve, in quanto riconosciuta come cellula fondamentale della società e dotata di vocazione naturale al dialogo ed alla pace, mantenere accesa e viva la fiaccola della pace in ogni casa promuovendo con ancor più forza e convinzione rispetto al passato l’esercizio quotidiano della ricerca del senso e l’attitudine al confronto ed all’apertura all’Altro volta al superamento maturo delle differenze.
Qualora in famiglia ci siano dei figli, crediamo sia da coltivare anche con loro il dialogo sui temi legati alla pace, senza dimenticarci di vivere piccoli gesti quotidiani che aiutino a comprendere la bellezza e, a volte, anche la fatica che accompagna il tentativo di porre in essere idee di pace.
In assenza di questo sommesso ma instancabile lavoro quotidiano di cura della pace, eventuali grandi proclami propagandistici (magari a fini elettorali) o manifestazioni pubbliche a favore della pace possano risultare sterili o, al più, capaci di evocare solamente un intenso ma breve fremito di adesione emotiva, che ben poco però può contribuire ad indirizzare le sorti del nostro tempo.
Come diceva il Mahatma Gandhi, “La ricerca della pace non è una cosa adatta ai cuori paurosi”.